Ma le Pmi, chi le compra?
Anche nel 2016 la paventata crisi dell’economia cinese non si è verificata. Il panico che aveva scosso i mercati mondiali giusto un anno fa va archiviato fra le tante previsioni sbagliate del 2016. «Al contrario: l’evoluzione del Pil e gli sviluppi di questi ultimi mesi riflettono una contrapposizione chiara fra un’Europa indebolita dalla crisi e che necessita di trovare i capitali per finanziare e sostenere il suo debito e il suo costoso sistema sociale (al quale nessuno vuole rinunciare e che pesa gravemente sulla competitività delle imprese) e una Cina bramosa di guadagnare competitività internazionale», fa notare Gian- luca Olivieri socio fondatore di Financial Technologies, società specializzata in operazioni di merger & acquisition.
«La Cina, anzi, investe miliardi di renminbi in infrastrutture interne e per soste- nere le proprie imprese nelle attività di acquisizione strategica di tecnologie d’avanguardia, come naturale risposta a un mercato interno che registra a livello mondiale i consumi maggiori».
«In estrema sintesi l’Europa sta lenta- mente impoverendosi, mentre l’Asia sta arricchendosi a ritmi vertiginosi», con- ferma il co-fondatore di Financial Technologies Daniel Dallinger. In effetti il biennio 2017-2018 prevede una crescita moderata in Europa con un aumento del Pil compreso tra 1,3% e 1,5%. Grosso- modo lo stesso tasso di crescita per la Svizzera, percentuali da ‘prefisso telefonico’ (0,7 – 0,9) per l’Italia. La crescita del biennio in corso sarà addirittura inferiore in Europa rispetto al biennio 2015 (1,5%) – 2016 (1,9%) ed è riconducibile alla fine del deprezzamento dell’Euro. La valuta europea, oltre a rischiare di fare le spese in una possibile battaglia monetaria tra Cina e Stati Uniti, è esposta al rafforza- mento (seppur in maniera timida) del corso del petrolio e a tassi d’interesse prossimi allo zero, e per i quali non è presente alcun segnale di ulteriore abbassamento.
«La conseguenza è un ritorno all’inflazione e una diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie e, dunque, una diminuzione generalizzata della domanda di prodotti. La Cina prevede per contro di confermare una posizione invidiabile, con un Pil in oscillazione tra 6% e 6,4%», ricorda Olivieri, che segue da vicino il polso dell’economia cinese facendo la spola fra le sedi di Financial Technologies a Lugano, Ginevra e Shanghai, «un mercato di sbocco inevitabile sia per soddisfare le esigenze di consumatori cinesi sempre più esigenti e capaci di spesa, che per rimpiazzare un mercato europeo che vede la domanda diminuire e la competitività acuirsi». Se ora è di moda prevedere un arresto della globalizzazione, la realtà afferma il contrario: lo scorso 12 dicembre 2016 la Cina ha ottenuto dalla World Trade Organization il prezioso riconoscimento di economia di mercato, scompare così dalla lista delle economie emergenti, e soprattutto si garantisce la parità di trattamento nei confronti delle economie mature e di tutti i membri del WTO per quanto riguarda le regole di accesso ai rispettivi mercati.
In questo contesto, vuoi per rispondere a un preciso input strategico del governo, vuoi per utilizzare i capitali accumulati, le aziende cinesi sono impegnate in uno shopping miliardario di imprese occidentali. A differenza dei fondi sovrani medio orientali i cinesi non comprano quote di minoranza di grandissime aziende ma cercano il controllo di medie o medio piccole imprese. «Tutto nasce con il piano del Governo centrale varato nel 2012, che mira a sostenere le imprese cinesi nell’acquistare tecnologie innovative con l’obiettivo di accompagnare il cambiamento che vede la Cina passare da mercato industry intensive a mercato technology intensive», spiega Olivieri. Questo processo di competitività internazionale vede altresì la progressiva concentrazione delle grandi imprese cinesi attorno al tema dell’Industria ad elevato valore aggiunto (industrializzazione 4.0), ed il progressivo abbandono delle attività industriali considerate povere ai Paesi limitrofi, tecnicamente ancora considerati come ‘emergenti’.
Nello stesso piano il Governo centrale di Pechino ha deciso di dare maggior peso agli investimenti in imprese straniere europee, in alternativa al mercato statunitense, allo scopo di accorciare brutalmente la curva d’apprendimento in ogni settore d’investimento. In pochi anni la Cina è diventata il maggiore mercato di consumo al mondo. «La Cina ha ben compreso come l’Europa, e con essa la Svizzera, sia ricca di una moltitudine di piccole e medie imprese con posizioni distintive in ambito tecnologico. Hanno anche compreso come molti imprenditori stiano valutando una successione al di fuori del perimetro famigliare», ricorda Dallinger.
L’obiettivo primario per le imprese cine- si di controllare tecnologie innovative ed il numero ridotto di grandi imprese occidentali potenzialmente acquistabili hanno spinto le prime a concentrare il loro interesse e la loro attenzione su imprese target di dimensioni minori, oggi guardate con multipli di valore più generosi rispetto a quelli tradizionalmente adottati dagli investitori finanziari. Questa propensione sta giocando un chiaro effetto rialzista sui prezzi di acquisizione, ancor più evidenti nelle transazioni di piccole dimensioni, per il minor valore assoluto in gioco.
Ma non sono solo i cinesi a guardare alle piccole medie aziende svizzere ed europee. La liquidità sui mercati europei e l’andamento dei titoli finanziari ha indotto molti investitori a prediligere gli investimenti diretti nelle imprese non quotate. Accanto ai tipici acquirenti industriali possiamo annoverare holding di partecipazione, fondi di investimento in private equity nonché alcuni hedge fund che gradualmente compiono il loro ingresso sul segmento delle Pmi. «Paradossalmente, tutti questi attori sono unanimi nel ritenere che non vi siano abbastanza imprese considerate ‘buone’ nelle quali investire le loro risorse finanziarie. Ne consegue che le imprese considerate ‘buone’ attirino molti più pretendenti rispetto al passato, e ciò produce un ulteriore effetto rialzista sui multipli di valorizzazione alla base delle operazioni di media e piccola dimensione», ricorda Olivieri. Il mondo del private equity è un universo variegato di soggetti: un’industria con propri codici, regole e meccanismi di funzionamento, ed è bene che un imprenditore che decide di dialogare con questo mondo conosca queste regole, gli standard vigenti e le eccezioni possibili. «Soltanto un’adeguata prepara- zione e l’accompagnamento di uno specialista consentono all’imprenditore di capire se esistano le condizioni per un dia- logo con il mondo degli investitori, su quale categoria di soggetti concentrare l’attenzione e secondo quali metodiche dialogare. Quest’ultimo aspetto costituisce la vera chiave di svolta che consente al piccolo o medio imprenditore di diventare un interlocutore ambíto per gli investitori internazionali, nonché alla sua impresa di trovare un multiplo di valore premiante nell’ambito di un’operazione di carattere straordinario. La concomitanza dei sum- menzionati fattori spiega perché siamo agli albori di un ciclo di acquisizioni potenzialmente a forte premio di valore per le imprese di dimensioni medio piccole», conclude Dallinger.