Straordinarie ma consapevoli
Ogni impresa ha bisogno di un capitano al proprio timo- ne. Un capitano che possa guidare il vascello ‘impresa’ lungo la propria rotta quando i venti sono contrari oppure assenti, che sappia evitare gli scogli, affrontare le tempeste e al tempo stesso gestire il clima favorevole, senza lasciarsi ingannare da passaggi agevoli. Un capitano che sappia che un buon secondo è essenziale per la continuità della navigazione, che la figura del secondo va identificata, educata ed inserita per tempo nell’organico e che non sempre tale figura potrà essere un membro della famiglia.
Le statistiche sono molto chiare. Siamo ora entrati in un decennio che vede tre imprese su quattro a conduzione familiare in situazione di discontinuità. «Le imprese a conduzione familiare svizzere ed europee si stanno allontanando da quegli schemi che vedevano la guida dell’impresa tra- mandata di generazione in generazione. Le nuove generazioni rivendicano il diritto di scegliere il proprio campo di attività, nonché obblighi e doveri di cui farsi carico» afferma Daniel Dallinger, Managing Partner di Financial Technologies SA, che in anni di attività ha maturato una forte esperienza sul campo quanto a imprese a carattere familiare. Del resto, molto spesso l’impresa di famiglia non corrisponde all’idealizzazione del ruolo di imprenditore e, altrettanto sovente, il campo di attività familiare è considerato poco attrattivo dai figli. Quando la continuità d’impresa non è più attuabile in seno alla cerchia familiare è imperativo vagliare un percorso di successione esterno alla famiglia.
Per rimanere in tema di metafora marittima, questo è il primo ed importante scoglio da fronteggiare. «Sebbene le statisti- che evidenziano che solo il 25% dei figli riprenda l’azienda di famiglia, i sondaggi rivelano che l’80% dei genitori imprenditori dichiara che i propri figli riprende- ranno la guida dell’impresa familiare» continua Dallinger. Ma è evidente che la percezione dei genitori sulle intenzioni dei propri figli diverga nettamente dai fatti, «e prima si affronterà il tema in fami- glia, prima si potrà pianificare la successione, sia che essa sia interna alla famiglia oppure esterna. Eisenhower avrebbe col- locato la successione dell’impresa tra le decisioni strategiche ‘non urgenti’ ma ‘importanti’ della sua matrice delle priorità, in ragione delle ripercussioni radicali che potrebbe avere sulla vita dell’impresa stessa. E nessuno meglio di un imprenditore sa che le decisioni collocate in quest’angolo della matrice sono essenziali» prosegue l’esperto. Come noto, gli imprenditori applicano tale principio con relativa facilità alle scelte strategiche riguardanti i loro prodotti o servizi. Le vere difficoltà emergono quando si tratta di applicarlo all’impresa di famiglia. «Ancora una volta è la componente emotiva a sfalsare i giudizi anche degli imprenditori più avveduti, e questo non è privo di gravi conseguenze» sostiene il manager.
Una successione correttamente piani- ficata garantisce continuità e futuro all’impresa, scardinando le problematiche sociali collegate. Un’impresa è fatta di persone e, quando non è più in grado di affrontare le sfide del mercato, la conseguenza è una diminuzione dei ricavi che sovente si tra- duce nella perdita successiva di posti di lavoro. «Decidere di avviare una successione esterna permette da un lato di assi- curare un futuro ai propri collaboratori che hanno nel corso degli anni contribuito anche loro al successo dell’impresa, mentre dall’altro consente di preservare il patrimonio costruito nel tempo con molti sacrifici trasformandolo da asset illiquido ad uno liquido. Il ruolo dell’imprenditore muta dalla gestione dell’impresa al nuovo ruolo di pura gestione degli asset liquidi, e decidere per una successione interna o esterna è la prima scelta consapevole del- l’imprenditore» prosegue Dallinger.
Si entra ora in un mare in cui non si è abituati a navigare ed i consigli costituiscono un imperativo per evitare il naufragio. Sebbene un’operazione d’impresa a carattere straordinario richieda competenze per affrontare le molte complessità, ognuno ha una propria visione più o meno “romantica”, consigli facili che si scambiano nelle taverne oppure, per i capitani più navigati, canti di sirene tanto soavi quanto pericolosi. Storie straordinarie e anche fantastiche ma del tutto scollegate dalla realtà. «L’imprenditore affronta una successione esterna di norma una volta sola nella vita. È dunque comprensibile che sia completamente all’oscuro delle implicazioni legate agli scenari entro i quali si andrà a configurare un’operazione di cessione detta di M&A, ivi inclusi i rischi latenti e le insidie lungo il processo» sostiene il manager, «Egli si rivolge di norma ai consulenti che gli sono più vicini, siano essi banchieri, avvocati o fiduciari, che hanno per compito quello di dirigere l’imprenditore verso professionisti specializzati per evitare che l’imprenditore costruisca nella sua mente un percorso, in termini di attese, diverso da quello che avviene nella realtà dei fatti e potenzialmente in grado di creare gravi danni. È essenziale che l’imprenditore possa comprendere appieno la portata dei processi a cui andrà incontro e le loro implicazioni, lasciando gli aspetti ‘captive’ di un’operazione in secondo piano anche se più immediati nella comprensione» sottolinea Dallinger.
Il processo per l’esecuzione di un’operazione d’impresa a carattere straordinario non dev’essere né banalizzato, né ignorato, perché costituisce il presupposto per qualsiasi decisione strategica. Il primo passo di questo processo, come per ogni attività, sta nella corretta definizione degli obiettivi dell’imprenditore. «È sulla base di questi obiettivi che si potrà iniziare a tracciare i vari potenziali scenari e le relative implicazioni per ottenere un quadro chiaro e trasparente che metta l’imprenditore nella posizione di decidere in cognizione di causa verso quale rotta dirigersi. Si potrà inoltre determinare se tali obiettivi siano compatibili con la situazione di mercato» pro- segue il manager. Si tratta insomma di applicare al processo di successione esterna d’impresa gli stessi presupposti che si applicano per il lancio di un nuovo prodotto a catalogo: analisi, valutazione, implicazioni, ed eventuali correzioni.
«Nella fase di preparazione di un’operazione di cessione d’impresa, ancor prima di interessarsi al valore d’impresa è necessario scegliere la rotta, perché anch’essa ha un impatto sul valore della transazione. L’imprenditore potrà scegliere tra vari scenari, quali ad esempio una cessione totalitaria oppure parziale, un’operazione di Management Buy out o Management Buy in, un Build-up, un Purchase Pledge oppure ancora altre forme ibride che possono essere confezionate su misura. Dalla scelta derivano sia le implicazioni insite nella transazione che il valore d’impresa» afferma Dallinger, che ha maturato anni di esperienza in questi ambiti tra Svizzera, Europa, e Asia.
«Per gli imprenditori desiderosi di avvia- re la successione rimanendo al contempo attivi alla guida dell’impresa per ancora qualche anno è preferibile orientarsi verso una cessione parziale, che potrà avvenire in diverse forme e su diverse categorie di soggetti. Tra i soggetti interessabili possiamo annoverare gli attori industriali desiderosi di crescere per il tramite di acquisizioni, i fondi e le holding d’investimento in Private equity, che vedono nell’impresa la possibilità di entrare in un nuovo comparto di attività oppure semplicemente un modo per rafforzare una partecipazione già in portafoglio, ed infine i manager attivi in seno all’impresa oppure in aziende simili interessati ad assumere un ruolo imprenditoriale» riflette l’esperto, attivo dal 2009 nella società di consulenza Financial Technologies.
«Ma indipendentemente dai soggetti, una cessione parziale implica, sotto il pro- filo formale, la negoziazione di un patto parasociale tra i nuovi azionisti per regolare tutti gli aspetti legati alla gestione dell’impresa, partendo dalla gestione strategica alla distribuzione di dividendi, fino all’obbligo di cedere le quote d’impresa quando richiesto dal nuovo azionista di maggioranza. Sotto il profilo emotivo, una cessione implica l’accettazione da parte del- l’imprenditore di passare dal ruolo di decisore unico a quello di manager che deve applicare il principio di collegialità alle decisioni strategiche» prosegue Dallinger. I risvolti sul valore d’Impresa sono di varia natura e variano anche notevolmente in base al soggetto.
«È lecito aspettarsi che nel caso di un’operazione di Management Buy Out i nuovi azionisti tenderanno a posticipare nel tempo non solo il valore d’impresa ma anche il suo pagamento. Molto spesso le operazioni di Management Buy Out sono condotte in cordata con una holding d’investimento o con un fondo di Private Equity per ovviare in parte alla dilazione dei pagamenti cui i manager non sempre sono in grado di far fronte» osserva l’esperto.
Ad ogni modo anche questi soggetti prediligono valorizzare l’impresa in due momenti distinti e in maniera diversa, riconoscendo un valore minore al momento della presa di partecipazione e un valore maggiore nel momento in cui anche loro dismetteranno le quote detenute nell’impresa. Il soggetto industriale si limita di norma a richiedere un diritto d’opzione che potrà far valere in maniera unilaterale nell’intento di risolvere qualsiasi potenziale incomprensione possa sorgere, attraverso l’acquisto della totalità delle quote.
Allor quando l’imprenditore preferisca la rotta della cessione totalitaria, bisogna prima comprendere quale sia la situazione a livello di management interno. «Un’impresa priva di un’adeguata prima linea di management operativa obbligherà l’imprenditore a un periodo di transizione tra dodici e ventiquattro mesi. Questo periodo potrà variare in base al profilo del soggetto acquirente. Un soggetto industriale sarà verosimilmente in condizione di inserire un proprio manager in seno all’impresa oggetto di acquisizione, accorciando il periodo di transizione. Una holding d’investimento o un fondo avranno invece bisogno di molto più tempo, sia perché non sempre hanno risorse manageriali a disposizione nel momento in cui fanno l’operazione, sia perché non essendo degli attori industriali, non hanno le competenze tecniche necessarie alla gestione operativa e produttiva» evidenzia Dallinger, entrando nel vivo dei dettagli di una cessione.
«Sotto il profilo formale, la cessione totalitaria è caratterizzata da due aspetti essenziali: il valore d’impresa e le garanzie che il compratore richiede al soggetto cedente» ma come per le cessioni parziali d’impresa, prosegue il manager, le insidie si nascondono nei dettagli; «Parte del negoziato verte sull’insediamento dello stabile produttivo, sul mantenimento delle risorse umane nonché sul progetto industriale alla base della scelta strategica del- l’acquirente. Tutti aspetti che hanno, nel loro insieme, un impatto sul valore transattivo» conclude, mettendo in guardia. È dunque chiaro che prima ancora di entrare in una fase negoziale con una controparte, l’imprenditore dovrà valutare quale rotta intraprendere, vagliando ciò che è disposto a concedere e ciò che intende ottenere, in maniera tale da definire fin da subito uno scenario transattivo chiaro sulla base di evidenze e riscontri concreti. Una volta definiti i vari scenari potenzialmente percorribili si procederà ad interessare le controparti adeguate, creando un giusto clima di competizione tra di loro, perché ancor più importante di una corretta valorizzazione è il fattore tempo. «È chiaro che un’impresa di fami- glia non possa permettersi il lusso di essere in vendita per un arco temporale troppo lungo. Il rischio di fughe di notizie verso concorrenti, clienti, collaboratori incrementa con il tempo. Un’operazione svolta bene deve completarsi entro un termine prestabilito e l’unico strumento di pressione per accorciare la tempistica di un’operazione è creare un sano clima di interesse tra una rosa di candidati interessati ed interessanti» evidenzia il manager.
«Infine, per compiere consapevolmente la scelta di entrare in un processo di successione esterna l’imprenditore deve anche accettare che la persona meno idonea a essere il promotore della cessione della propria impresa è lui stesso» conclude Daniel Dallinger. Non si tratta insomma solo di reggere alla parte emotiva della transazione ma anche a quella tecnica, dove un’adeguata strumentazione di bordo costituisce sempre più un imperativo. Quindi? È bene scegliere una rotta, ma consapevolmente!